Come la moda uccide il pianeta

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Come la moda uccide il pianeta

Questo articolo è stato pubblicato nel numero di Dicembre di 2017 (pg. 8) della rivista “il Veses”, mensile rivolto agli abitanti della Valbelluna. Fa parte della rubrica “Ambientiamoci” curata da Michele Argenta ed Oscar Paganin, nata con l’obiettivo di rendere più vicino e comprensibile un problema complesso e globale come quello dei cambiamenti climatici.

Vi siete mai chiesti come mai da una decina d’anni sempre più catene della grande distribuzione (H&M, Zara, GAP, solo per citarne alcune a titolo d’esempio) ci propongono dei capi a prezzi ridicoli? E soprattutto, vi starete chiedendo, cosa ha a che fare tutto ciò con i cambiamenti climatici? Gli argomenti che cerchiamo di toccare in queste brevi discussioni sono vari ma sono tutti correlati: l’impatto sull’ambiente che hanno.
Se non ve lo siete mai chiesti, siamo nell’epoca della fast fashion, ossia la moda “usa e getta” dove i capi costano al massimo qualche decina di euro e durano qualche decina di giorni.

L’impatto sul pianeta, sull’ambiente e sui lavoratori è devastante.

La possibilità di immettere sul mercato vestiti a bassissimo costo si ripercuote sui lavoratori, specialmente sui paesi in via di sviluppo (Bangladesh, India, Taiwan) dove la produzione di infinite quantità di capi viene pagata qualche dollaro al giorno, e dove i lavoratori vanno incontro a pericoli sul lavoro e malattie, generalmente causate dai prodotti della lavorazione di questi tessuti (che poi, nella catena finale, andremo ad indossare noi).

Il vero attore di questo campo torna ad essere una nostra vecchia conoscenza: il petrolio. Provate a leggere sulle etichette dei vostri indumenti che indossate di cosa sono fatti: solo una piccola percentuale verrà da materiali presenti in natura (lana, cotone, lino ecc) mentre per la maggior quantità questi materiali saranno derivati dal petrolio (acrilici, nylon, poliesteri, ecc).

Ne risulta che la produzione mondiale di vestiti è raddoppiata in questi ultimi 15 anni, soprattutto perché una persona compra il 60% in più in abbigliamento rispetto a prima. Questo fa aumentare le collezioni che le case di moda rilasciano, andando ad alimentare un circolo vizioso che si ripercuote sull’intero ecosistema del pianeta, dove l’esubero di capi di abbigliamento è così elevati da far risultare il riciclaggio delle fibre come insufficiente.

Ma come tutto questo si ripercuote sull’ambiente circostante? Sappiamo che i derivati del petrolio (fibre sintetiche in generale) non si degradano nel “breve periodo” (dove per breve parliamo di qualche secolo) ma ci impiegano più tempo. Oltre alla plastica, non dimentichiamo l’inquinamento chimico prodotto dalle fabbriche, quello dovuto all’utilizzo di pesticidi nei campi di cotone, lo spreco di acqua ed energia durante la produzione dei tessuti, che impattano notevolmente sul riscaldamento globale.

Ma quali sono gli effetti sulla nostra salute? Da uno studio pubblicato a settembre 2017, è risultato che il 72% dell’acqua potabile che beviamo in europa contiene microfibre plastiche, il cui effetto a lungo termine sulla nostra salute non è ancora quantificabile. La presenza di queste microplastiche è dovuta anche all’utilizzo, al lavaggio e all’abrasione di tessuti derivati dai combustibili fossili, che non si deteriorano ma si rompono fino a dimensioni infinitesimali, entrando di fatto nel nostro organismo.

La prima domanda che ci dobbiamo fare è quindi “ho veramente bisogno di questo vestito o posso farne a meno?” e la seconda dovrebbe essere più di carattere etico: “sto pagando il giusto prezzo per questo articolo?” Si intende un prezzo sia in termini ambientali che umani. E’ così che si può aggirare questa tendenza del compra e getta, comprando quello che ci serve solo quando ci serve, e andando a pagare il giusto prezzo per dei materiali che sono organici o che non abbiano dovuto impattare su una popolazione di qualche paese in via di sviluppo così gravemente. Il pensiero che deve stare alla base dei nostri acquisti impulsivi (pensiamo sopratutto al “black friday”) è quello di comprare meno ma di qualità (possibilmente nei negozi locali), senza soddisfare quello che le voglie momentanee e senza basarsi sulle opinioni altrui.

Film consigliati: “The True Cost”, documentario di Andrew Morgan (2005)
In TV: Puntata “Le Iene” 12 novembre 2017

 

 

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